Lavorare con i genitori: alcuni contesti istituzionali e loro specificità

Breve confronto fra esperienze di lavoro con i genitori, esperite o riflesse, in diversi ambiti lavorativi come: tribunale per i minorenni, ente di adozione internazionale, scuola. Partendo dall’illustrazione del funzionamento di ogni realtà istituzionale e dalla definizione degli obiettivi istituzionali, verrà sviluppato il modo in cui la centralità dell’esperienza analitica mantenga un’aderenza sul processo di sviluppo, sulla possibilità di intercettare stati interni della mente del genitore che lo mettano in contatto con il bambino reale e il bambino internalizzato.

Tribunale Per i Minorenni

L’incarico di Giudice Onorario avviene per domanda da inoltrare, nelle modalità e tempistiche previste dal bando, al Ministero di Grazia e Giustizia. La nomina avviene sulla base delle esperienze formative e professionali del candidato in grado di attestarne le competenze riguardo: sviluppo infantile, mediazione e lavoro con i genitori, scuola, esperienze di comunità, adozione, affidamento (ecc..). Gli ambiti di intervento in cui si opera sono: Udienze preliminari (GUP), Udienze dibattimentali (GUD), GIP (modalità di definizione processuale per giudizio abbreviato), camere di consiglio collegiale, valutazione sull’idoneità genitoriale in caso di adozione e, su ordinanza del magistrato, assegnazione attraverso delega dei fascicoli ad un G.O. affinché venga svolta una istruttoria. Ci sono infine fascicoli amministrativi che vengono assegnati d’ufficio dal PM.
Esistono quindi interventi collegiali (Camere di consiglio, GUP, GUD, GIP) ed interventi in cui il G.O. opera in modo individuale, in base alle prescrizioni assegnate. Per semplificazione ci occuperemo di questa parte del lavoro del G.O. e nello specifico per la valutazione delle competenze genitoriale come previste dal Codice Civile negli articoli 333 e 330*.

Ascoltare i genitori chiamati dal tribunale per i minorenni è un’esperienza molto dolorosa, sia per loro stessi che si sentono giudicati, sia per il G.O. che chiede loro autenticità e li chiama a collaborare per definire un programma di crescita per il loro figlio, quando evidenze di varia natura testimoniano manchevolezze e fragilità. Spesso i genitori non riconoscono la motivazione sottostante allo scalpore che il loro caso ha suscitato; talvolta, sentono esistere una responsabilità da parte del servizio che, contemporaneamente ad una funzione di guida e di sostegno, ne svolge anche una di valutazione/giudizio; per questo, anche nelle situazioni più favorevoli, i genitori avvertono come una costrizione il dover sottostare ad interventi che mobilitino una condizione di cambiamento nel proprio ruolo genitoriale.

Sappiamo bene quanto il percorso umano sia segnato da eventi intrapsichici, intrafamiliari, contestuali tali da richiedere un armonioso accordo fra parti interne capaci di attivarsi rispetto al cambiamento di status: da individuo, a coppia, a genitore; quanto sia opportuno sviluppare un equipaggiamento sintonico rispetto alla fase della vita che si sta vivendo, ma sappiamo anche come sia articolato e complesso sostenere la portata dei cambiamenti.
Al G.O. spetta il compito di comprendere la situazione, di sentire il parere del PM circa l’orientamento legislativo e procedurale che in linea di massima appare più adeguato (collocamento, sostegno, interventi educativi), iniziare a comprendere in che modo il territorio è in grado di affrontare le criticità emerse.

Ascoltare i genitori, il contesto familiare e talvolta il minore per capirne il dramma interno, avvicinare il nocciolo della condizione traumatica dalla quale ha preso avvio una lenta disgregazione di azioni ed emozioni, le cui ricadute più evidenti si rilevano sul minore, porta il G.O. ad intercettare, fra le vicende umane, la motivazione del genitore nel tornare ad avere fiducia nel rapporto di dipendenza che sarà alla base di una possibile alleanza. Nei nostri studi si parlerebbe della strutturazione di una alleanza terapeutica che permetta di rivelare la funzione sintomatica assolta dal bambino per il nucleo familiare.

Gli strumenti che il G.O. ha a disposizione sono dei colloqui, la lettura di relazioni ed aggiornamenti, il confronto con il magistrato ed i colleghi (quando è possibile), ed una investitura di autorevolezza. Non credo che possano essere sottovalutati, inoltre, una buona dose di masochismo interno per il perdurare delle incertezze a fronte di una molteplicità di sofferenze (che solo in parte può essere intesa nei termini di una sostenibilità della capacità negativa), ma anche la speranza circa la stabilità del proprio assetto interno (formativo e personale) che possa sostenere la ricerca di una migliore comprensione.

A differenza di quanto accade nei nostri studi di psicoterapia, in cui, per scelta possiamo selezionare una serie di variabili su cui incentreremo il nostro intervento (sintomo, tenuta del contesto familiare, setting ecc..), quando lavoriamo per il tribunale ci troviamo in un campo dove agiscono una serie di fattori su cui potremo avere margini di intervento molto limitati, ad esempio abbiamo bisogno di mantenere buone relazioni con i servizi sociali per avere la possibilità che venga accolto il progetto sul quale abbiamo investito, dobbiamo venire a patti con il senso di insoddisfazione espresso, non di rado, nei nostri confronti,o con la consapevolezza della drammaticità perdurante nel processo evolutivo del minore e ciò non ostante riuscire a mantenere la ferma fiducia che quella scelta sia un passo in direzione del raggiungimento di uno stato migliore per il minore e la sua famiglia.

I mezzi che il G.O. ha a disposizione per trasferire la propria comprensione su un piano di cambiamento è quello di elaborare, grazie al supporto del servizio sociale e sanitario che lo rendano applicativo, un programma attuativo di intervento.
Ogni genitore come individuo mostra il bisogno di essere ascoltato per la sua condizione umana, per la storia che lo ha portato a strutturare dei legami, delle scelte, ma anche a dover creare una sorta di pareggio che metta in equilibrio una propria dignità, talvolta anche sostenuta da profonde fragilità e/o strutturazioni difensive, con lo stato oggettivo dei fatti.

Nelle istruttorie con i genitori, cercando di sgomberare il terreno da recriminazioni, sensi di colpa, accuse, rabbie, cerco di dare voce a questi due aspetti:

  • La dignità umana
  • Lo stato oggettivo dei fatti

Questo significa che personalmente tengo un po’ da parte il desiderio di assunzione di una posizione severa, punitiva, morale e superegoica, cercando di verificare la capacità del genitore di comprendere la necessità di trasformare in dignitoso, per sé stesso e per il suo bambino, lo stato oggettivo dei fatti. Se questo accade, ovvero se anche per un piccolo spaccato, si riesce ad attivare nel genitore la fantasia che esso possa ancora assolvere una funzione di guida nel cammino del figlio, se per una breve frazione di tempo il genitore si riavvicina all’immagine idealizzata del genitore che avrebbe potuto appagare il bambino internalizzato, si può pensare che gli interventi che verranno proposti, in accordo con S.S. e UFSMIA e UFSMA, possano avere una reale presa sul contesto.

Sappiamo bene che raramente ciò accade, spesso solo per una breve durata.

Ente di Adozione Internazionale
L’attività dell’Ente di Adozione riguarda l’accompagnamento della coppia dal momento in cui, ricevuta la sentenza di idoneità, la coppia consegna il mandato all’ente scelto. Dal quel momento l’ente assume una molteplicità di ruoli:

  1. di accompagnamento all’attesa,
  2. di monitoraggio in corso di abbinamento coppia-bambino,
  3. di sostegno durante i viaggi e/o durante la permanenza nel paese esterno,
  4. di redazione delle relazioni post- adottive,
  5. di sostegno al nucleo familiare,
  6. di pianificazione dell’inserimento scolare e monitoraggio,
  7. di lavoro con un gruppo di genitori nel percorso post-adottivo,
  8. di individuazione e promozione di modalità nuove di intervento mirate e specifiche che corroborino un naturale cambiamento storico/sociale di adeguamento,
  9. favorire la creazione di una rete conoscitiva fra le famiglie,
  10. strutturazione di momenti ricreativi.

Credo si possa affermare che, depositando il mandato, la coppia compie un atto per cui, in modo informale e spesso non consapevole, vede trasformarsi il proprio desiderio da una componente privata e personale ad una ufficiale e concreta. Si potrebbe dire che il desiderio venga spostato da una componente affettiva ad una operativa, caratterizzata dall’assolvimento dalle pratiche burocratiche, e dal sostenere una tempistica di attesa. L’assolvimento dei documenti e la tempistica occupano l’interesse della coppia e divengono il contenuto di molte delle comunicazioni.

Questo lavoro non è previsto istituzionalmente, in quanto non risponde ad una richiesta oggettiva e pertanto non può essere quantificato, ma avrà dei costi significativi a livello psichico e riguarda la re-inversione del contenuto dialogico. A questo punto il compito risulta complesso perché spesso comporta la necessità di riassegnare una valore originario a quanto la coppia non vuole più significare. Questo a mio parere costituisce un fraintendimento di base proprio perché l’Ente deve sostenere la fattibilità della scelta genitoriale. Pur lavorando solo da poco più di un anno, sono entrata in contatto con realtà che testimoniano l’esistenza di tale fraintendimento: coppie che, una volta nel paese di origine del bambino, non riescono a tollerare i tempi e le modalità di attesa prima del rientro in Italia, coppie per le quali l’abbinamento avvenuto in tempi molto ristretti ha creato fantasie di onnipotenza circa la semplificazione affettiva delle dinamiche interne alla coppia o del contesto familiare, coppie che perpetuano l’immagine di coppia accogliente e assertiva e non si possono tollerare segni evidenti di individuazione del bambino… In poche parole, il desiderio si concretizza e blocca il pensiero sui nodi centrali del funzionamento individuale e di coppia, sotto l’egida del principio del piacere, di cui si siano persi i confini e la modalità di gestione proprio perché trasferito su un terzo: L’Ente. Ovviamente ciò accade quando non sia intervenuto un opportuno percorso trasformativo della coppia in parallelo.

Al momento ci troviamo in una fase storica in cui le domande di adozione internazionale sono in netta diminuzione e si assiste ad una crescita di adozioni nazionali con affido con rischio giuridico. Tale modificazione ha una ricaduta significativa sull’attività svolta dall’Ente, proprio per quanto sostenuto precedentemente, infatti, se fino a poco tempo fa l’Ente strutturava e gestiva l’attesa attraverso idonei spazi di gruppo per le coppie (che potevano avere diverse denominazione: corso paese, corso attesa, ecc…), oggi l’impossibilità di raggiungere i numeri sufficienti a giustificare l’avvio di un gruppo dilata i tempi per la strutturazione di itinerari di accompagnamento.

Durante la conduzione dei gruppi, in modo informale si potevano aprire dei piccoli varchi di pensiero e di rivisitazione del trauma originario della coppia. Questa ricaduta non è ininfluente, dato che si dissipano e talvolta si dissolvono le occasioni in cui l’Ente accompagnatore può istituzionalmente funzionare da collettore di un traghettamento. Talvolta, a causa di questa nuova condizione, può accadere che vi siano ripercussioni sulla stima/fiducia che la coppia matura verso l’istituzione con il rischio che si attivino fantasie persecutorie di abbandono e trascuratezza o ancor peggio, fantasie di avere un bambino malato o di inadeguatezza genitoriale. Tali fantasie/realtà non si discostano molto da quelle che spesso albergano nei vissuti dei bambini.

Ecco quindi che i 10 punti, “il vademecum” delle attività istituzionali, potrà risentire in ogni momento del bisogno di recuperare strascichi traumatici, affinché non si ispessiscano come spine dolorose, accrescendo i vissuti di deprivazione del bambino.

Il lavoro va avanti tenendo in mente le fragilità ed i punti di forza, cercando di introdurre delle varianti e di sfruttare tutte le possibilità di riaprire qualche finestra, come in occasione dell’attività istituzionale più rigorosa, la relazione per il paese di origine (sempre che la famiglia non scelga di essere seguita dal servizio territoriale). Si cerca di illustrare il funzionamento della mente umana, inteso anche come movimento oscillatorio fra angosce e meccanismi di difesa e, data la formazione personale, di illustrare il percorso del pensiero, cominciando da quello infantile. Con delicatezza verso le cose complesse, viene ricostruita una tela che talvolta rappresenta infanzie genitoriali prolungate, processi di separazione ancora non elaborati e con essi ci sono i lutti… Così, ad esempio. talvolta è possibile intercettare la resistenza a giocare con il bambino perché emergerebbero questioni che non si è pronti a gestire: “Perché mai un bambino di 4 anni non è competitivo e collaborativo con gli altri bambini e non tollera che la palla gli sfugga dalle mani?”, e provare a trovare uno spazio interno al dolore della perdita.
Saranno così i volti incuriositi dei genitori nel vedersi presentificato il mondo interno come uno scenario teatrale a chiedere ed a riconoscere il bisogno di un colloquio in più.

Scuola
Da un paio di anni, con un’Associazione che presiedo, stiamo facendo un’esperienza presso un Istituto comprensivo: un intervento multidisciplinare che riduce le ore di formazione tra insegnante e professionista psicologo, ma contemporaneamente da all’insegnante un appoggio concreto in orario scolastico prevedendo la presenza di operatori che affiancano i bambini che mostrano vulnerabilità dal punto di vista dell’apprendimento. Il lavoro con i genitori in realtà non sarebbe previsto, ma ciò di cui ci siamo resi conto è che via via i genitori chiedono, si informano, vogliono avere dettagli su come il proprio bambino in poco tempo sia riuscito a fermare l’attenzione sul lavoro didattico, come mai mostri ora un diverso atteggiamento nei confronti dei compagni.

Per brevità di tempo posso solo accennare a due contesti:

  1. Una madre ha chiesto di integrare con un versamento volontario le ore dell’operatore che affianca il proprio bambino in classe.
  2. Una madre, inizialmente spaventata dall’attenzione che le insegnanti avevano rivolto al figlio chiedendo l’intervento, si è messa a piangere osservando che, nella disposizione ed organizzazione della pagina, il bambino era stato in grado di assolvere ad un compito con estrema creatività e personalità, lui che, gemello, faceva così fatica a differenziarsi in un pensiero proprio!

Avere un pensiero rivolto allo sviluppo della mente e sostenerne il cammino, così come si è visto in questi contesti istituzionali, può talvolta consentire ai genitori di affacciarsi sul proprio vissuto interno, in modo non più critico e di avvicinarsi al figlio con indulgente disponibilità.

 

*Art.330 Decadenza-della-potestà-sui-figli:
Il Giudice può pronunziare la decadenza dalla potestà quando il genitore viola o trascura i doveri ad essa inerenti o abusa dei relativi poteri con grave pregiudizio del figlio. In tale caso, per gravi motivi, il Giudice può ordinare l’allontanamento del figlio dalla residenza familiare ovvero l’allontanamento del genitore o convivente che maltratta o abusa del minore (1).
Art.333Condotta-del-genitore-pregiudizievole-ai-figli:
Quando la condotta di uno o di entrambi i genitori non è tale da dare luogo alla pronuncia di decadenza prevista dall’art. 330, ma appare comunque pregiudizievole al figlio, il Giudice, secondo le circostanze può adottare i provvedimenti convenienti e può anche disporre l’allontanamento di lui dalla residenza familiare, ovvero l’allontanamento del genitore o convivente che maltratta o abusa del minore. Tali provvedimenti sono revocabili in qualsiasi momento.